Compie settant’anni la “fidanzata d’Italia” per antonomasia, la mitica Alfa Romeo Giulietta, un modello che ha fatto la storia dell’automobile ed è, ancora oggi, un punto di riferimento per gli appassionati delle quattro ruote in tutto il mondo. Peraltro, la storia della Giulietta parte, curiosamente, dalla versione coupé che per diversi motivi, che spiegheremo più avanti, debuttò prima della berlina. La Sprint ottenne subito un grande successo commerciale e, soprattutto con l’arrivo della versione “Veloce”, sportivo. Abbiamo avuto il privilegio di provare, in corsa sulla pista di Monza e sulle strade della Targa Florio, la versione da corsa del modello più sportivo della gamma: la Sprint Veloce 1300 della Scuderia del Portello.

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Di Eugenio Mosca – Foto di Massimo Campi


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Lo sviluppo economico del dopoguerra e il conseguente fenomeno della motorizzazione di massa impose alle industrie automobilistiche un cambio di marcia, con il passaggio da un’organizzazione artigianale a quella industriale, necessaria per soddisfare le maggiori richieste del mercato. Per l’Alfa Romeo questo delicato passaggio coincise con la fase di progettazione del modello Giulietta, internamente denominato “Tipo 750”, varato dalla Casa milanese per potersi affacciare al segmento di mercato delle automobili di grande serie. Infatti, fino al modello 1900 le officine del Portello, con il sistema artigianale, erano in grado di produrre una ventina di automobili al giorno, mentre con la Giulietta si trattava di passare alla cosiddetta “motorizzazione di massa”, con una produzione giornaliera di 200 esemplari. Per assolvere un compito così impegnativo fu ingaggiato l’ingegnere austriaco Rudolf Hruska, che aveva già seguito l’industrializzazione della VW “Maggiolino” a fianco di Ferdinand Porsche.

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Premio lotteria

Per sostenere i costi di una tale riconversione industriale l’azienda avviò una sottoscrizione pubblica di capitali, attraverso l’emissione di cartelle fondiarie dell’IRI, allettando i risparmiatori all’investimento con una lotteria che prevedeva l’estrazione mensile di una vettura; ovviamente una Giulietta.

Lavoro di squadra

Mentre Hruska si occupava delle linee di produzione, altri due gruppi di lavoro portarono avanti rispettivamente la progettazione del motore e della parte meccanica e telaistica, mentre il Centro Stile tracciava le linee della carrozzeria sia della berlina che della coupé. Il progetto andò avanti speditamente e nei primi mesi del 1953 furono realizzati i primi prototipi della Giulietta da provare su strada. I risultati in termini di prestazioni e dinamica della vettura furono subito entusiasmanti, ma una significativa pecca era rappresentata dalla rumorosità all’interno dell’abitacolo, che non si riuscì a risolvere completamente nonostante numerose modifiche. Questo rappresentava un grosso problema, perché oltre a non poter procedere con l’assemblaggio delle vetture, non si potevano neppure definire le specifiche dei contratti con i fornitori esterni.

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Il sorpasso

Non solo: rischiava di far saltare anche l’appuntamento con il previsto debutto della nuova vettura al Salone di Torino 1954, con grave danno dell’immagine dell’azienda, al tempo sotto controllo statale. Allora Hruska propose ai dirigenti dell’azienda di presentare prima il modello coupé, per il quale la rumorosità nell’abitacolo sarebbe stata maggiormente tollerata, se non addirittura gradita, dalla clientela di estrazione sportiva, facendo realizzare le vetture presso carrozzieri esterni mentre in azienda si sarebbe guadagnato tempo per risolvere il problema sulla berlina. Sulle prime il piano non piaceva alla dirigenza, ma visti i tempi stretti l’allora presidente Giuseppe Luraghi avvallò questa opzione.

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Evoluzione della specie

Progettazione e sviluppo della Coupé erano stati portati avanti congiuntamente alla berlina e il prototipo della futura Giulietta firmato da Giuseppe Scarnati, poi divenuto celebre come “brutto anatroccolo”, aveva già superato le prove su strada. Ma la mancanza della necessaria capacità produttiva delle carrozzerie Zagato e Touring spinse il responsabile del progetto, Rudolf Hruska, a rivolgersi a Mario Boano, responsabile della Ghia, e a Nuccio Bertone. Per affinare le linee della nuova vettura furono chiamati anche Giovanni Michelotti, Franco Scaglione e Giorgetto Giugiaro, che apportarono numerose modifiche rendendo l’insieme più equilibrato pur senza stravolgerne l’impostazione di base. Al Salone di Torino 1954 debuttarono due prototipi leggermente diversi tra loro denominati Giulietta Sprint, che avevano addirittura la novità assoluta del portellone posteriore poi accantonato per timori di infiltrazioni, con motore di 1300 cc a carburatore doppio corpo da 65 cv per una velocità max di 160 km/h. Le sospensioni erano a ruote indipendenti all’anteriore, con barra antirollio, e ponte rigido al posteriore, con i freni a tamburo sulle quattro ruote. Il successo del nuovo modello fu immediato, tanto che già nel solo primo giorno di esposizione vennero superati i 500 ordini.

Scommessa vinta

Ma i problemi non erano finiti: Boano abbandonò la Ghia, che si ritirò dal progetto. Questo fu salvato da Bertone, che per fare fronte alle commesse dovette subappaltare il lavoro di realizzazione delle parti di carrozzeria a piccole aziende del torinese che avevano all’interno abili battilastra. Una sorta di scommessa vinta dal carrozziere torinese, tanto che alla fine del ciclo di vita della Giulietta Sprint, nel 1965, le carrozzerie battute e saldate a mano furono ben 6.000. Infatti, non è raro trovare piccole differenze, proprie delle realizzazioni artigiane, nelle vetture che fanno parte della prima serie di Giulietta Sprint.

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Arriva la “Veloce”

Nel 1956 arrivò la versione “Veloce”, che oltre a vari alleggerimenti, come i pannelli scorrevoli in plexiglass invece dei finestrini in vetro e relativi alzacristalli, ma soprattutto cofano, portiere e cerchi in alluminio, era equipaggiata con un motore dotato di due carburatori doppio corpo Weber DCOE da 40 mm che, unitamente all’aumento del rapporto di compressione a 9:1, portavano un incremento della potenza a 90 CV e la velocità massima a 180 km/h. Caratteristiche che garantivano grande divertimento nella guida su strada e ne fecero una sportiva di successo nelle competizioni, presentando come biglietto da visita i primi tre posti di categoria alla Mille Miglia di quell’anno, ai danni delle Porsche 356. Ma questo fu solo l’inizio che porterà a successive evoluzioni sportive, tra cui la SVZ (Sprint Veloce Zagato), SS (Sprint Speciale), SZ (Sprint Zagato), fino ad arrivare alla SZ Coda Tronca, realizzata in pochi esemplari.

Dalla strada alla pista

La Sprint Veloce del nostro servizio è entrata a far parte della Scuderia del Portello circa una trentina di anni fa e da quel momento il suo futuro fu immediatamente “segnato”: sarebbe diventata una vettura da corsa. E non per gare qualsiasi, perché il suo primo impegno fu la Carrera Panamericana del 1991. Il particolare regolamento della veloce maratona sudamericana consentiva alcune importanti modifiche: aumento della cilindrata del 30%, freni a disco anteriori, cambio a cinque rapporti e autobloccante. In quella configurazione, la vettura della Scuderia del Portello si fece onore, occupando la piazza d’onore di categoria fino all’ultimo giorno, quando fu fermata da un problema meccanico. E noi l’abbiamo guidata così alla Targa Florio, come spieghiamo più avanti. Quindi la “Veloce” è stata riportata nella configurazione conforme al regolamento tecnico internazionale per le competizioni di auto storiche, con cui ha partecipato a numerose gare ottenendo risultati di prestigio.

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Rinforzata

La “nostra” Sprint Veloce 1.300 è una seconda serie, del 1961, che si differenzia dalla precedente per le griglie anteriori più ampie, i fanalini posteriori leggermente più alti, i finestrini che sulla versione stradale avevano movimento verticale mentre su quella da corsa sono ancora scorrevoli orizzontali e, soprattutto, per le portiere e cofani in alluminio. Data la destinazione, la vettura è stata completamente smontata, separando la parte meccanica dalla scocca che è stata sabbiata per arrivare alla lamiera viva in modo tale da verificarne lo stato. Per poter contare su una struttura solida, i lamierati dei pianali e dei longheroni sono stati sostituiti, l’accoppiamento tra i lamierati è stato risaldato, con cordoncini di saldatura a filo intervallati; quindi, sono state saldate le piastre di fissaggio della gabbia di sicurezza imbullonata, come richiesto dal regolamento, su sei i punti di fissaggio in corrispondenza dei montanti A e B e sui passaruota posteriori.

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In curva fa la dura

Il regolamento tecnico per le vetture Turismo Periodo E (riferito all’anno 1961) impone l’utilizzo della meccanica originale, tranne per le modifiche concesse per il motore e per l’assetto, consentendo anche, in caso di impossibilità a reperire i pezzi di ricambio, l’utilizzo di particolari realizzati ex novo purché mantengano le stesse caratteristiche di quelli originali.

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Per quanto riguarda le sospensioni, la Giulietta Sprint Veloce può contare su una buona precisione di assetto di base garantita dai punti di ancoraggio dei triangoli inferiori della sospensione anteriore con boccole metalliche, mentre gli altri elementi elastici di fissaggio, compresi i supporti motore, sono in gomma più dura dell’originale.

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È invece consentita, come del resto avveniva all’epoca, la sostituzione degli ammortizzatori, purché simili come tipologia a quelli dell’epoca, di molle più rigide e della barra antirollio anteriore. Nello specifico, sono stati montati ammortizzatori Koni racing. 

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Tasselli metallici

Uno dei punti “delicati” sulle autostoriche più datate, soprattutto in funzione di prestazioni incrementate e nell’utilizzo in pista, è certamente rappresentato dai freni a tamburo, che messi sotto stress tendono a surriscaldarsi, perdendo efficacia ma anche causando fenomeni di ovalizzazione dei tamburi che causano fastidiose vibrazioni e una frenata sbilanciata.

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Per ovviare a questi inconvenienti, i tecnici della Scuderia del Portello hanno fatto realizzare, come si faceva all’epoca, degli speciali pattini dei freni con due inserti in lega metallica inseriti lungo la fascia del materiale d’attrito, di mescola che offre maggiore “mordente”, che hanno il duplice compito di evitare l’usura anomala del materiale e di mantenere la “centratura” di tutto l’insieme lavorando a contatto con la pista del tamburo come una sorta di rettifica. Questo sistema, centrato su un apposito tornio prima di essere montato sulla vettura, limita anche al minimo l’intervento sui classici registri. Per il resto l’impianto frenante deve mantenere i componenti di serie, dalla pompa ai pistoncini fino ai tamburi, che tra anteriore e posteriore presentano differenze sia nelle dimensioni sia nelle alettature: longitudinali al posteriore e oblique all’anteriore per favorire la ventilazione.

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“Veloce” di fatto

Innanzitutto, va sottolineato che il quattro cilindri 1.3 della Sprint Veloce della Scuderia del Portello è stato preparato a suo tempo da Angelo Chiapparini, uno dei maggiori specialisti di motori da corsa Alfa Romeo, come evidenzia il suo “marchio di fabbrica”: il coperchio delle punterie di colore azzurro.

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Una preparazione non estrema, perché oltre all’utilizzo in pista la vettura è stata concepita fin dall’inizio anche per le competizioni su strada, quindi doveva mantenere una buona “fruibilità” nella guida anche in condizioni di traffico. Il “mago” milanese ha alleggerito e bilanciato albero motore e volano, sostituito i pistoni con altri in grado di assicurare maggiore compressione, mentre le bielle sono rimaste originali, alleggerite e bilanciate, lavorato camere di scoppio e profilo delle valvole, che però per regolamento devono mantenere le dimensioni originali, fatto realizzare alberi a camme dal profilo più spinto, lucidati e raccordati i condotti eliminando scalini deleteri per i flussi. I collettori devono rimanere originali, perciò la “Veloce” è agevolata dal fatto di avere già di serie collettori di scarico singoli, che poi convergono in un doppio tubo fino ad un unico terminale, libero, con silenziatore finale.

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I carburatori doppio corpo Weber da 40 mm, originali, sono stati ovviamente revisionati e adeguati all’impiego in competizione con l’adozione di getti e spilli di dimensioni maggiori, così com’è stato adeguato il livello del galleggiante e asportati cassa e filtro aria sostituiti da cornetti di aspirazione.

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Il regolamento impone il mantenimento del radiatore liquido originale, mentre per mantenere le temperature di esercizio del motore entro livelli idonei è stato possibile aggiungere un radiatore olio motore, con i tubi di andata e ritorno che partono dalla base del filtro olio, passando per lo stesso anch’esso maggiorato e spostato più in alto.

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Dato che per l’utilizzo in pista il raffreddamento del radiatore è assicurato dal flusso d’aria, le pale della ventola di raffreddamento, trascinata dalla cinghia, sono state accorciate in modo tale da offrire minore resistenza.

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Dopo le cure del “mago” Chiapparini, il bialbero milanese eroga una potenza massima di 120 cv a 6.800 giri/min, tirando una rotazione massima “utile” di 7.200 giri/min, che unita a un rapporto al ponte 9/41 si traduce in una velocità di circa 200 km/h. Insomma, una Giulietta “veloce” anche di fatto. Gli organi della trasmissione devono, invece, restare originali: perciò cambio originale a quattro rapporti, così come il differenziale senza autobloccante, mentre è possibile cambiare il rapporto al ponte, con tre scelte possibili. Originali anche il gruppo frizione, tranne il disco in rame, l’albero di trasmissione ed i semiassi.

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Questione di feeling

Abbiamo avuto il privilegio di provare l’Alfa Romeo Giulietta 1300 Sprint Veloce in pista, in alcune edizioni della Coppa Intereuropa a Monza, e su strada, in una edizione della Targa Florio Storica con la formula rally. 

Monza. Nell’abitacolo della “Giuliettina”, piuttosto contenuto e con il padiglione basso che rende subito l’idea della coupé anni Sessanta, mi trovo a casa e provo la sensazione di essere tutt’uno con la macchina.

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Mi bastano un paio di giri per ritrovare il feeling con la guida. D’altronde, devo ammetterlo, la Sprint Veloce è una delle mie preferite di quest’epoca e pur avendola utilizzata in più occasioni non finisce mai di stupirmi. Il bialbero milanese si conferma brillante, a patto di tenerlo “allegro” e non farlo scendere sotto i 4.000 giri/min, mentre dai 5.000 in poi garantisce una bella spinta che sale con costanza fino alla soglia “utile” dei 7.000 giri/min oltre la quale, anche per una sorta di “rispetto”, non conviene andare. Il cambio si manovra bene, con l’accortezza di non essere troppo bruschi e fare la doppietta in scalata “accompagnando” la leva del cambio senza essere precipitosi. Peccato non abbia cinque rapporti, che permetterebbero un utilizzo ancora migliore del motore in alcuni punti del tracciato monzese.

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Anche l’assetto si fa apprezzare, con l’anteriore che garantisce ingressi in curva precisi mentre è necessario trovare il giusto “equilibrio” con il posteriore, che va fatto scivolare in misura adeguata per evitare impuntamenti che farebbero sollevare la ruota posteriore interna con conseguente perdita di trazione, e tempo (!), data la mancanza dell’autobloccante. Senza eccedere, però, per non ritrovarsi costretti ad abbondanti correzioni del sovrasterzo che allo stesso modo farebbero perdere tempo e, magari, creare un po’ di apprensione. Date anche le “gommine” Dunlop Racing strette (185x15”) e di derivazione stradale.

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Comunque, le reazioni della “Giuliettina” sono talmente dolci e prevedibili che basta poco per acquisire il feeling necessario a trarre una goduria pazzesca da questa guida in leggera “scivolata”, soprattutto nelle curve di percorrenza: le Lesmo, ancora di più in variante Ascari con il cambio di traiettoria, e la Parabolica, dove è molto importante farla scorrere bene per avere la giusta accelerazione per il lungo rettilineo principale.

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Anche la frenata, pur dovendosi “accontentare” dei freni a tamburo, è tutto sommato equilibrata, senza eccessivi scompensi del posteriore nonostante il beccheggio della vettura. Tuttavia, per evitare di incorrere in problemi di surriscaldamento, con allungamento del pedale e perdita di efficacia soprattutto con le violente staccate del veloce circuito di Monza, occorre adeguare un po’ la tecnica: dopo il primo pestone, deciso ma modulando bene il pedale per non incorrere in bloccaggi, meglio alleggerire leggermente e pigiare nuovamente a intervalli, in modo tale da fare un po’ “respirare” ferodi e tamburi. Adottate queste semplici attenzioni, giù il piede e via per una bella dose di divertimento puro, accompagnati dal sound dello spettacolare bialbero milanese.

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Circuito delle Madonie. Negli anni ho avuto l’occasione di provare la Giulietta Sprint Veloce anche su strada. E non una qualunque, ma su quella del “Piccolo Circuito delle Madonie”, quello classico della Targa Florio per capirci, che in barba al nome si sviluppa su ben 72 km per un totale di 782 curve, come si racconta ne abbia contate il grande Piero Taruffi da buon ingegnere.

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Peraltro, in una edizione della Targa Florio storica disputata con la formula rally: il percorso diviso in quattro prove speciali cronometrate con strade chiuse al traffico, dove andare a tutta!

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E per rendere il tutto ancora più adrenalinico non ci siamo fatti mancare un fuoriprogramma degno dei tempi eroici delle corse: nella seconda PS del primo dei tre giri in programma si è rotto il rinvio dell’acceleratore, perciò per raggiungere l’assistenza posta obbligatoriamente alla fine del giro presso i classici box di Floriopoli, abbiamo dovuto rimediare con il classico filo di ferro, procurato al volo da uno spettatore da una rete ai bordi della strada, azionato manualmente dal navigatore, il coraggioso (incosciente ?) Luigi Somaschini, peraltro proprietario della vettura. Con annessi spaventi e “cottura” freni per i frequenti bloccaggi dell’acceleratore in posizione tutto aperto!

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Ma negli altri due giri la “Giuliettina” si è fatta abbondantemente perdonare, cavandosela discretamente nei tratti in salita nonostante la potenza non esuberante (120 CV), sempre a patto di tenere “sveglio” il motore sopra la soglia dei 4.000 giri/min, e scatenandosi nei tratti in discesa, dove con la dovuta cautela per limitare il surriscaldamento dei freni a tamburo, ci ha fatto divertire grazie ad uno sterzo preciso e un assetto, leggermente ammorbidito, capace di copiare bene il fondo assorbendo in modo egregio le tante sconnessioni tipiche delle strade madonite.

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Al termine dei tre giri si è fatta un po’ sentire la stanchezza, data la mancanza della servoassistenza allo sterzo, ma ne è valsa abbondantemente la pena, perché il divertimento è stato grande!

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