A dispetto del nomignolo che le fu simpaticamente affibbiato, “Lumaca di latta”, la Citroen 2CV ne ha fatta di strada. E ancora oggi che compie 75 anni, l’iconica vettura del Double Chevron mantiene quell’aria sbarazzina e anticonformista che ha fatto battere cuori di intere generazioni, dando luogo a tutta una serie di versioni utilizzate nei modi più disparati. Ripercorriamo la curiosa storia del suo progetto e il successo dirompente che costrinse addirittura i vertici Citroen a selezionare la clientela.

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La Citroen 2CV compie 75 anni, infatti il suo debutto ufficiale avvenne il 7 ottobre 1948 al Salone di Parigi, ma mai come in questo caso si può dire che non li dimostri. Perché la “lumaca di latta”, come venne affettuosamente battezzata, alla faccia dell’anagrafe mantiene intatta quell’aria sbarazzina che ha fatto innamorare milioni di persone di diverse epoche. Una passione tuttora intatta, perché da settant’anni la 2CV esprime gioia di vivere, libertà, divertimento e pure una buona dose di anticonformismo. Insomma, uno stile di vita a sé. E per capire quanto sia ampio l’attaccamento a questa vettura, nelle sue svariate versioni, basti pensare che al raduno mondiale (evento che si svolge ogni 2 anni in una nazione diversa) svoltosi in Francia a Salbris nel 2011 furono oltre 11.000 le 2CV e derivate presenti.

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Ma anche per il raduno svoltosi nel 2003 nel nostro paese, a Vinadio, la presenza fu massiccia. Peraltro, per l’occasione Franco Grosso, titolare di “Assistenza 2CV” ma soprattutto grande appassionato di 2CV, preparò una 2CV denominata “All color” perché verniciata con tutte le tinte (80) che negli anni erano state a catalogo, con tanto di numerazione e denominazione ufficiale. Un modo davvero simpatico per ripercorrere la storia di questa iconica vettura.

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Non solo, ad ulteriore dimostrazione di attaccamento al modello, Grosso si aggiudicò la selezione mondiale presentando il prototipo di una motocicletta (funzionante) realizzata per il 95% con particolari della 2CV.

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“Tres Petite Voiture”

D’altronde fin dall’inizio, dal concepimento e sviluppo del progetto fino alla commercializzazione, la storia della 2CV è assolutamente particolare. Tutto ebbe inizio nel 1935, quando Pierre-Jules Boulanger, eroe della Grande Guerra in cui si era distinto in aviazione insieme al compagno di volo Pierre Michelin, prese possesso dell’ufficio appartenuto in precedenza ad André Citroen. Boulanger era nato in Alvernia, dove c’era il grande stabilimento di pneumatici dei fratelli Michelin, i quali avevano salvato dal fallimento le fabbriche di André Citroen che per lanciare la rivoluzionaria Traction Avant si era esposto troppo con le banche.

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L’immediato successo della nuova vettura non aveva infatti raddrizzato la situazione economica di Citroen, che peraltro poco tempo dopo morirà in giovane età. “Pére Boule”, come veniva chiamato Boulanger, era un pragmatico che a quattordici anni era emigrato in America per fare fortuna, riuscendoci, ma era tornato in patria per la chiamata alle armi. Al termine della guerra, però, restò in Francia incaricato dai fratelli Michelin di raddrizzare i bilanci del Double Chevron, che doveva guardare oltre la Traction Avant. Un bel giorno del 1936 sul tavolo di Boulanger arrivò un corposo faldone contenente un’indagine di mercato commissionata da lui stesso e dai fratelli Michelin: la ricerca aveva lo scopo di evidenziare quali caratteristiche dovesse avere l’auto più desiderata dal pubblico francese, che per la maggior parte all’epoca non possedeva un’automobile. La sintesi delle richieste, che provenivano per la gran parte da una Francia contadina, puntava su un’automobile che fosse economica, nell’acquisto e gestione, che potesse trasportare tutto come il caro vecchio carro trainato dai cavalli e che fosse capace di andare dappertutto.

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Richieste tutt’altro facili da soddisfare, ma Boulanger non si perse d’animo dando indicazioni al responsabile del centro studi Citroen, Brogly, di studiare una vettura che potesse trasportare due contadini con gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino ad una velocità massima di 60 km/h con un consumo di tre litri di benzina per 100 km. E come se non bastasse, la vettura doveva essere in grado di percorrere le strade più difficili, anche un campo arato, trasportando un paniere di uova senza che queste si rompessero.

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Infine, il conducente doveva poter salire a bordo con il classico cappello in testa. Perché secondo Boulanger il contadino, che rappresentava il target per la nuova vettura, non si separa mai dal cappello, perciò, se non avesse potuto salire in auto con il copricapo in testa la vettura non sarebbe stata adeguata. Ma non era ancora finita: la nuova automobile sarebbe dovuta costare un terzo della Traction 11 e poter essere guidata in sicurezza anche da una donna neopatentata.

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Mentre l’estetica non aveva importanza. André Lefebvre, che in precedenza aveva progettato la Traction Avant, accettò la sfida scrivendo le tre lettere che avrebbero definito il nome della nuova vettura fino al momento del lancio: T.P.V., acronimo di “Tres Petite Voiture”, ossia auto molto piccola.

20231007 1 news 04Lunga gestazione

Il primo modellino in legno, a grandezza naturale, fu realizzato nel 1936, mentre l’anno successivo arrivò il primo prototipo marciante dei 49 che si sarebbero poi avvicendati. 

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L’aspetto era, per usare un eufemismo, piuttosto grezzo, caratterizzato dall’assenza di fari e da una struttura in lega leggera coperta da un telone come carrozzeria. Il tutto spinto da un motore motociclistico BMW che lo… lanciava fino a 100 km/h, evidenziando una forte instabilità. Quindi venne realizzato un più “docile” bicilindrico da 375 cc raffreddato ad acqua, più in linea con la filosofia del progetto.

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Nel corso dei test lo stesso Boulanger eseguì, con successo, la prova di attraversamento del campo arato con il paniere di uova. Nella primavera del 1939 venne realizzato l’ultimo dei prototipi, con carrozzeria in duralinox, una lega di alluminio, caratterizzata dalla lamiera ondulata per aumentarne la resistenza, il solo fanale sinistro, come permetteva la legislazione francese dell’epoca, copertura del padiglione in tela e cambio a tre marce.

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Lo scoppio della Seconda guerra mondiale, però, bloccò l’evoluzione del progetto e Boulanger fece distruggere quasi tutti i 250 esemplari di pre-serie, tranne pochissimi accuratamente nascosti, per non farli cadere in mano ai nazisti. Durante l’occupazione nazista, lo stilista Flaminio Bertoni, inizialmente non coinvolto nel progetto T.P.V. perché considerato troppo estroso per un progetto dalle caratteristiche così minimaliste, realizzò in proprio un suo modellino della vettura che dopo le iniziali resistenze del “capo” fu effettivamente preso in considerazione perché modernizzava le linee ormai superate del vecchio prototipo. Inoltre, durante la guerra, in gran segreto, furono ricercate soluzioni più economiche per abbattere drasticamente i costi di produzione. Così nel 1944, quando Parigi fu liberata, il progetto riprese ufficialmente coinvolgendo anche un altro italiano per la progettazione del motore: Walter Becchia, che nel giro di una sola settimana approntò un bicilindrico da 375 cc ma raffreddato ad aria, per evitare i problemi accusati dalla precedente versione raffreddata a liquido.

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A questo motore, nonostante le iniziali resistenze dei vertici della Casa, venne accoppiato un cambio a quattro marce. Nei quattro anni successivi vennero messe a punto anche le sospensioni, adottando quella geometria che avrebbe costituito una delle doti principali della vettura, la carrozzeria, sia per le forme estetiche sia per le esigenze tecniche, e altri importanti accessori, come i freni idraulici a tamburo sulle quattro ruote, i vetri in cristallo e l’impianto di riscaldamento.

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Il debutto ufficiale della Citroen 2CV, sigla derivante dalla valutazione dei cavalli fiscali in Francia, avvenne il 7 ottobre 1948 al Salone di Parigi, dove ottenne severe critiche dalla stampa specializzata per le sue linee molto particolari ma soprattutto per la spartanità giudicata eccessiva.

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Minimalista d’avanguardia

Tuttavia, i tre esemplari esposti, tutti nell’unico colore previsto, il grigio “metallico”, attirarono gli sguardi incuriositi del pubblico che, probabilmente, videro più in là degli specialisti.

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In effetti, la 2CV introduceva tutta una serie di stilemi destinati a perdurare nei modelli successivi nell’arco di tre decenni: ad esempio il tetto arcuato quasi completamente costituito da un telo, che la trasformava in una piccola cabriolet, la carenatura dei passaruota posteriori, mentre il montante C più massiccio fu successivamente “alleggerito” con l’introduzione di un piccolo finestrino.

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Anche sotto il profilo meccanico, pur nella sua estrema semplicità e spartanità, la nuova vettura introduceva temi interessanti: il pianale era rinforzato da elementi scatolati sui quali veniva fissata la carrozzeria in lamierati di acciaio, dove possibile piani per risparmiare in fase di produzione. Le sospensioni rappresentavano un ottimo compromesso tra semplicità ed efficacia, con un braccio oscillante per ruota e tiranti longitudinali che agivano sulle molle elicoidali e ammortizzatori a frizione, i freni erano a tamburo sulle quattro ruote.

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Il motore bicilindrico da 375 cc raffreddato ad aria erogava solo 9 cv a 3.500 giri/min, per una velocità massima di 66 km/h. Le critiche della stampa frenarono un po’ l’entusiasmo dei vertici della Casa, tanto che la produzione della 2CV iniziò solo nel luglio dell’anno successivo, con i primi 2.000 esemplari (denominati 2 CV A) destinati solo a professionisti. Da lì, invece, iniziò un successo travolgente, con liste di attesa che divennero anche piuttosto lunghe.

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Clientela… selezionata

Infatti, la grande abitabilità, l’economia di esercizio ed i costi di manutenzioni prossimi allo zero, oltre all’interessante prezzo iniziale di vendita annunciato (185.000 franchi) ne decretarono il grande successo istantaneo da parte degli utenti. I Concessionari Citroen, che avevano iniziato le vendite con l’ausilio del solo piccolo dépliant, furono presi letteralmente d’assalto, ma la produzione non era ancora partita.

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Nel luglio 1949 i Concessionari ricevettero una circolare in cui venivano informati che presto avrebbero ricevuto le prime 2CV di serie, ma la stessa circolare precisava che non poteva ancora partire il lancio commerciale in quanto il prezzo definitivo non era ancora definito, così come le date di consegna delle automobili. Due mesi dopo un’altra circolare annunciava il prezzo di vendita definito in 228.000 franchi, ma la stessa comunicava inoltre che a seguito dell’incredibile numero di richieste già pervenute la priorità andava data a coloro “che per lavoro sono obbligati a spostarsi in auto e che non possono permettersi una vettura differente per costo, consumi o manutenzione”. Allo scopo venne allegato un questionario molto dettagliato da far completare all’aspirante cliente di una 2CV. Il criterio di assegnazione delle richiestissime vetture veniva definito direttamente dalla Casa tramite un suo ispettore incaricato di intervistare direttamente i clienti selezionati dal Concessionario e stabilire a chi “avrebbe assegnato in anima e coscienza una delle cinque vetture prodotte quotidianamente dalla fabbrica di Javel”.

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Le grandi aziende, invece, potevano acquistare lotti di dieci vetture. Tra queste molti quotidiani come France Soir e Le Parisienne, che le diedero in dotazione ai propri giornalisti e fotografi. Per i “comuni mortali, invece, i tempi della lista d’attesa crebbero fino ad essere quantificati in anni, tanto che la sede Citroen di Javel fu subissata da una miriade di lettere di clienti che imploravano di poter ricevere la propria vettura prima di altri. La situazione si era fatta così critica che ogni forma di pubblicità fu sospesa per i tre anni successivi, il tempo necessario ad implementare la produzione così da soddisfare le richieste. La situazione si normalizzò solo nella seconda metà degli anni ’50, tuttavia per molti clienti la possibilità di ottenere una 2CV in tempi brevi, e soprattutto del colore desiderato, rimase una chimera ancora per molto tempo. 

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Evoluzione della specie

Nei quarant’anni di onorato servizio la Citroen 2 CV conobbe vari aggiornamenti, sia stilistici che meccanici. Nel 1951 arrivò l’avviamento con chiave, oltre alla serratura anche sulla portiera anteriore destra e la sicura. Nel 1953 fu modificato lo stemma sulla calandra, oltre a nuovi rivestimenti e volante, mentre l’anno successivo venne modificata l’apertura dei finestrini anteriori e con l’arrivo della versione AZ (che affiancava la A) la cilindrata del bicilindrico venne portata a 425 cc, per una potenza a 12 cv.

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Nel 1957, la versione AZLM introdusse uno sportello metallico per il vano portabagagli e l’anno successivo, addirittura, divenne disponibile l’autoradio a transistor. Il 1960 fu un anno importante per la 2 CV: cessò la produzione della versione di base A, mentre arrivò un restyling importante a livello di carrozzeria, con il cofano motore liscio, nuovi paraurti e ampliamento della gamma colori.

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Nello stesso anno, arrivò anche la prima delle versioni speciali: la “Sahara”, dotata di due motori, uno anteriore e l’altro posteriore, che trasmettevano il moto direttamente all’asse corrispondente.

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Quella 2CV 4x4, però, era tutt’altro che un semplice esperimento o un’operazione d’immagine, perché rappresentava la risposta alle esigenze della Total, che andava ad esplorare i campi petroliferi nel Nord Africa, del corpo forestale e delle poste francesi che dovevano consegnare la posta anche in luoghi sperduti tra le montagne e, addirittura, dei reali del Belgio che commissionarono una vettura nel 1971, a produzione finita, appositamente costruita in Olanda; il 695.mo esemplare.

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Altre importanti modifiche arrivarono nel 1963, con nuovi paraurti ma soprattutto l’aumento di potenza a 18 CV e la predisposizione per le cinture di sicurezza, a richiesta, così come due anni dopo le portiere anteriori passarono all’apertura controvento, arrivarono nuovi ammortizzatori idraulici telescopici al posteriore e la lista degli optional si allungò con la disponibilità dell’impianto di riscaldamento. Nel 1968, nell’ottica di un possibile avvicendamento con la Dyane, le importazioni in Italia della 2CV cessarono, per poi riprendere nel 1976. Nel frattempo, comunque, si verificò un altro importante cambiamento: il glorioso bicilindrico di 425 cc venne definitivamente pensionato per fare posto a due nuovi motori ripresi dai modelli Dyane e Ami 8, rispettivamente di 435 cc per 26 cv e 602 cc per 28.5 cv. In contemporanea, furono ripresi da quei modelli anche altri particolari della plancia e dei rivestimenti. Nel 1976 venne introdotta la versione 2CV Special, più economica, mentre per la 2CV 6 arrivarono una strumentazione più completa e sedili anteriori divisi, mentre su tutta la gamma vennero definitivamente montati gli ammortizzatori idraulici.

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Da qui in avanti non vi furono più grosse novità, ad eccezione dell’arrivo nel 1980 della versione Charleston, presentata come versione speciale bicolore e poi diventata di serie, e dell’adozione dei freni a disco anteriori nel 1982. Il 27 luglio 1990, dallo stabilimento portoghese di Mangualde uscì l’ultima 2CV, una Charleston, dopo una produzione stimata in oltre 5 milioni di vetture: 3.872.583 berlina e 1.504.221 Furgonette.

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Compagna di lavoro

Numeri che sanciscono il grande successo che la 2CV ebbe anche come mezzo di lavoro, grazie alle caratteristiche tecniche e all’insuperabile rapporto costo-utilizzo. Infatti, la prima versione della “Furgonette” (sigla progetto AU 250), presentata al Salone di Parigi 1950 e poi rimasta in commercio fino al 1980, non vantava certo prestazioni straordinarie, dato che il bicilindrico da 375 cc raffreddato ad aria spingeva la vettura fino a un massimo di 60 km/h, tuttavia all’epoca era uno dei pochi mezzi commerciali di quella taglia a vantare un sufficiente spazio interno di carico, per una portata massima di 250 kg. Per questo la “Furgonetta”, come viene chiamata in Italia, montava pneumatici di dimensioni leggermente più grandi. Nel 1955 anche per la “Furgonette” arrivò una evoluzione (sigla progetto AZU 250), con un motore di cilindrata superiore (425 cc) che incrementò la potenza da 6 a 9 cv assicurando maggiore brio. 

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Serie speciali

Dopo un periodo di flessione, nella seconda metà degli anni Sessanta, la crisi petrolifera del 1974 e la conseguente ricerca di automobili più parsimoniose propiziò un rilancio della “lumaca di latta”, così a distanza di parecchi anni dalla “Sahara” arrivarono altre serie speciali: nel 1976 la Spot, acronimo di SPecial Orange Teneré; nel 1981 la Charleston, certamente la “special” di maggiore successo che restò in attività fino al 1990, che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi Tréfle come la piccola 5HP Citroen degli anni ’20; nel 1983 la France 3, in Italia chiamata Transat; nel 1985 la Dolly; nel 1986 la Cocoricò e nel 1988 la 2CV Special Perrier, allestita in collaborazione con la nota azienda di acque minerali e dotata di frigobar. Alle serie speciali, nelle varie colorazioni e combinazioni, Franco Grosso ha dedicato le quattro portiere della 2CV “All Colors”. Infine, tra le serie speciali, anche se non ufficialmente prodotta dalla Casa, possiamo annoverare anche le versioni da competizione, per l’autocross, con gare popolatissime e combattutissime, per l’off-road ed anche per la pista, con veri e propri prototipi.  

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